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Trentaquattresimo e trentacinquesimo giorno

luglio 6, 2022

La salute è ritornata alla grande e l’aria frizzantina della città mi mette di buona lena. Al mattino, dopo il rituale caffè doble e la medialuna mi avvio verso il Teatro Colon. Questo teatro è uno dei primi cinque al mondo per la qualità acustica e, per molti anni agli inizi del Novecento è stato il più grande dell’America. La guida è molto preparata. Anche in questo gruppo di turisti sono l’unico italiano e anche l’unico europeo per la verità. Se la cosa inizialmente poteva suscitare in me qualche senso di inferiorità, sin dalle prime battute inizia a venir fuori il mio orgoglio nazionale. Il primo architetto era italiano, solo che è morto prima di vedere realizzato il suo progetto, il secondo pure era italiano, ma dopo l’inizio dei lavori fu assassinato dal proprio maggiordomo portoghese che aveva una tresca con sua moglie. Il terzo architetto era belga di scuola francese. I materiali utilizzati sono quasi tutti italiani, i marmi di Carrara, Siena e Verona. Le tende e le tappezzerie originali erano italiane, così come le decorazioni, i pavimenti a mosaico di scuola veneziana anche se la pietra in questo caso era inglese. Lo scultore che ha scolpito i busti dei più grandi autori d’opera, da Verdi a Rossini era, manco a dirlo, italiano. Manca il busto di Puccini perché quando il teatro venne inaugurato nel 1908 il compositore era ancora in vita. L’opera inaugurale è stata l’Aida. Qui hanno cantato Maria Callas, Caruso, Pavarotti. Ha diretto Toscanini. Quindi potete immaginare il mio orgoglio di essere italiano davanti a brasiliani, argentini, boliviani, statutinensi e canadesi. Chissà se pensavano a quali super poteri potessi avere io, ovviamente cercavo di dissimulare e darmi un tono. Dopo questo bagno di autostima ho pensato di replicare andando a visitare Palacio Barolo in Avenida de Mayo. Anche questo è opera di un architetto italiano e costruito su commissione di un imprenditore tessile nostro connazionale. È stato per dodici anni, l’edificio più alto del Sudamerica, dal 1923 al 1935. Dal 1997 è monumento nazionale ed ora ospita uffici. La particolarità è che questa costruzione riporta continuamente alla Divina Commedia data la passione dell’architetto per Dante Alighieri. La struttura è divisa in tre parti, inferno, purgatorio e paradiso e culmina con un faro a ricordare l’empireo. L’altezza è di cento metri come il numero dei canti e i piani sono ventidue corrispondenti alla metrica dei versi. La cupola si ispira ad un tempio indù e simboleggia l’amore tantrico tra Dante e Beatrice. All’interno numerosi dettagli allegorici con riferimenti danteschi che non sto ad elencare. Ad ogni modo anche qui ero l’unico italiano del gruppo di visitatori. Il panorama dall’alto si apre a 360 gradi su Buenos Aires. Il faro che viene illuminato ogni sera è visibile anche da Montevideo in Uruguay dove l’architetto ha realizzato un edificio gemello a questo chiamato Palazzo Salvo. Alla sera sono andato in un pub a vedermi la partita di Copa Libertadores tra il Boca Juniors e i brasiliani del Corinthias. L’avvenimento era molto sentito. Stamattina mi sono alzato con molta calma. Mi sono fatto la barba e ho cominciato a riporre le cose nello zaino. Fuori c’era una nebbiolina fredda. Al posto del caffè ho provato il mate, un tradizionale infuso ricavato dalle foglie della pianta ilex paraguayensis. Pare abbia proprietà toniche e stimolanti grazie alla caffeina che contiene. Stavolta ci ho abbinato due medialunas. I caffè qui sono molto accoglienti, con tanti tavolini di legno scuro, le sale sono molto alte. Tante persone trascorrono le mattinate qui, leggendo il giornale, conversando, flirtando, studiando. In sottofondo c’è sempre una malinconica musica di tango. Come si fa a non essere o diventare romantici qui? Io lo sono già un po’ di natura e qui mi lascio trasportare dalla contemplazione dei volti e delle espressioni, poi mi perdo nei miei pensieri, osservo le scene ordinarie, i movimenti dei camerieri. Passata circa un’oretta da buon pensionato passeggio in un parco botanico giapponese, e subito dopo in un parco naturalistico dove vivono alcune speci animali tipiche del Sudamerica. Non riesco a fotografare il condor delle Ande, uno stupendo esemplare con tre metri di apertura alare. Poi, dopo una lunga camminata vado in una parrilla a mangiare un pezzo di asado, la carne tipica originaria dei gauchos delle Pampa. Un taglio di manzo, muscolo addominale nel mio caso, cotto alla brace su una griglia metallica. Ora mi sento proprio bene e stasera dovrò trovare un modo di festeggiare.

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